Giovanni Faccenda Quanto nello spazio e in pittura può risorgere
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In un’epoca segnata da una curiosa dicotomia in ambito creativo – banale omologazione o bizzarro arbitrio –, l’esclusivo itinerario espressivo di Roberto Comelli, lungo, ormai, quattro decenni, conserva fra gli altri il pregio di essersi progressivamente emancipato dalle peggiori consuetudini nostrane attraverso un organico avvicendarsi di febbrili stagioni ideative – assai diversa la prima, figurativa, da tutte le altre –, che ne hanno sempre più elevato la figura agli occhi del pubblico e nel giudizio della critica, tanto da occupare oggi, Comelli, un posto di rilievo all’interno di un selezionato versante dell’arte italiana contemporanea. Il percorso, vasto, che egli ha compiuto fino alla recente e peculiare scomposizione visiva, evolutasi, nell’attualità, in direzione spazialista, ha mantenuto come attributo comune l’indole, estranea all’appagamento e viceversa portata alla sperimentazione, di un autore che ha mostrato interesse, almeno fino a tutto il 2006, verso varie direzioni: la natura, il paesaggio, quanto intorno e all’interno degli uomini. La pittura, assoggettata ai singoli intendimenti del proprio ispirato artefice, è così transitata dal realismo romantico, che ebbe a contraddistinguere agli esordi l’attività di Comelli, ad un impianto squisitamente informale tipico di due differenti contesti: abitati da un riverbero intimista e da un’urgenza di sintesi, quelli fra la seconda metà degli anni Ottanta (Ultima luce) e parte del decennio successivo (Dentro l’onda); costruiti oltre la soglia del percettibile, i lavori a noi più prossimi, emblematicamente rappresentati da alcune grandi tele (Collisione, Battaglia navale, Mattanza) ebbre di fremiti, cromie e variegati abbandoni. Indomito ricercatore, Comelli ad un certo punto realizza – siamo già nel 2007 – le ulteriori possibilità di un linguaggio pittorico caratterizzato dalla prerogativa di distruggere e far risorgere l’immagine di volta in volta assunta a pretesto narrativo. In tale proponimento dell’artista, soprattutto in quella sua specifica tendenza ad analizzare e subito sezionare la ricca offerta del visibile, collima – anche – una parallela e concettualmente analoga investigazione interiore, fra le ansie, i sussulti, gli incantamenti e nondimeno le disillusioni che albergano nel proprio quotidiano. Il «terzo occhio», così, feconda una prospettiva inedita ed esaltante: quella, appunto, della scomposizione visiva. Ampliato fino all’ultima dimensione il misterioso rapporto che s’instaura tra autore e spettatore – l’opera è sempre per metà di chi la guarda e non solo, dunque, di chi la esegue –, Comelli inizia a destrutturare volti e, parimenti, stati d’animo. L’esercizio, ardito, non ha precedenti nel mondo conosciuto: s’impone, pertanto, nella stupita immediatezza che accompagna i mutamenti davvero radicali. Un conseguente passo che il pittore compie verso una rappresentazione ancora più incisiva, in termini estetici e filosofici, è il ricorso all’oggetto-simbolo, l’elemento in grado di evocare, in chi guarda, arcani significati. Così le chiavi in Segreti e gli ingranaggi di orologi d’epoca nella suggestiva Scomposizione temporale: eccellenze, queste, di una stagione che prosegue densa di scoperte e di rivelazioni. Anche nella scultura, ove interviene altro genere di necessità e, allo stesso tempo, di ricercatezze tecniche (Sommergibile Nazario Sauro, Vedere oltre, Il giorno e la notte), Comelli insiste verso fascinose mete cosmiche, le stesse in cui echeggia, forte, il senso di Controcorrente: scultura, scomposizione visiva, presente e insieme futuro di un’indagine ormai estesa ad ogni angolo della mente. In fondo, a pensarci bene, quanto è dato di vedere o soltanto di immaginare, nel lavoro di quest’artista così originale, ha un retrogusto, tutt’altro che sfumato, di salsedine. Il mare – sublime diaframma fra visibile e invisibile –, per Comelli, del resto è come sangue nelle viscere: molte onde, infatti, continuano a sciabordare in lui con fragore antico. Oggi, fra le spume lattiginose, si mescolano le tensioni e gli idilli di un uomo deciso a scoprire gli archetipi dell’anima come, un tempo, i legni, le conchiglie e le alghe disseminati dopo la tempesta sulla battigia. L’immenso e l’infinitesimale, nella loro beffarda apparenza, è ciò che di prodigioso, d’altronde, l’arte spartisce con il mare.

Firenze, settembre 2011

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